Verità contadine

Mia nonna Ersilia - La massaia
Mia nonna Ersilia - La massaia

La civiltà contadina toscana fatta di feste campestri e di superstizione ma anche di un antico sapere legato all’uso di strumenti e tecniche agricole è un’erede privilegiato del mondo culturale etrusco.

 

“Il contadino va nel campo e lancia il seme, lo consegna alla terra e poi, aspetta; passano i giorni, passano le settimane e i mesi interi, uno dopo l’altro. Non si stanca di aspettare, perché sa che deve essere così”. Il contadino pone in essere l’atteggiamento prioritario del cristiano nel mondo: è l’attesa fiduciosa e non l’impazienza degli zelati.

 

Oggi la cultura contadina sta pian piano sfumando nei  tenui ricordi dei più anziani. Buona parte delle attività del passato, fino agli anni del secondo dopoguerra, hanno costituito una ricchezza sociale ed umana di grande valore.

 

La cultura della civiltà contadina, intesa come il mezzo per avvicinarsi sempre più al modo di crescere insieme e progredire nella ricerca della solidarietà tra le persone, che ha preceduto l’era tecnologica del momento, deve avere ampio riconoscimento. Nel nostro territorio, l’attività contadina era sostenuta quasi esclusivamente dagli uomini, a livello familiare, con l’aiuto di asini, buoi, cavalli e muli e di attrezzi rudimentali come per esempio gli aratri di legno.

 

Ricostruire con queste note l’ambiente di vita e di lavoro dei nostri contadini è per me una soddisfazione essendo nato e avendo vissuto in una famiglia contadina.

 

La cultura ufficiale, quella scritta sui libri per intenderci, aiuta certo a comprendere la storia, ma quello che nasce dalla mente e dalle braccia del contadino (in genere poco istruito perché ai tempi non vi erano le possibilità per studiare), nei campi o nelle stalle, ha del prodigioso. Il contadino attinge le sue informazioni dall’osservazione diretta delle voci della natura, ne fa tesoro, le trasmette, le applica, le modifica, producendo conoscenze a suo vantaggio e degli altri, in reciproco e proficuo rapporto: quei contadini che uscivano all’alba, con l’asino a la cavezza e la zappa o la vanga sulla spalla.

 

L’attività dei contadini delle nostre terre non si limitava alla sola coltivazione dei campi, ma comprendeva una serie di tante altre azioni collaterali o di complemento, come allevare e pascolare pecore, vacche, buoi, produrre formaggi , costruire attrezzi d’ogni tipo e con materiali i più diversi.

 

Nelle stalle erano presenti conigli, polli, tacchini, maiali oltre agli animali da lavoro. Non si dirà mai abbastanza dell’operosità e dell’inventiva dei nostri “cafoni”, spesso canzonati dalla classe più scolarizzata.

 

Non c’era tempo, nelle loro giornate di tutte le stagioni, per lo svago o l’ozio: di sera e non sempre qualche partita a carte o, nei giorni di festa qualche partita a bocce lungo le strade polverose dei borghi. All’opera defaticante degli uomini si affiancava quella, forse più duramente sentita, delle donne su cui gravava il peso di portare avanti la casa: allevare i figli, lavare la biancheria nell’acqua gelata delle pubbliche fontane o ai lavatoi, cucinare per tutti con i pochi ingredienti, confezionare indumenti con lana e cotone da loro stesse tessuti. L’impegno della donna contadina era estenuante, infinito. In una famiglia contadina, la prima donna ad alzarsi dal letto, la mattina presto, in ogni stagione e in ogni giorno,  preparava un po’ di caffè o d’orzo per tutti, accendeva il fuoco, d’inverno e d’estate, per la cottura dei cibi, abbrustoliva l’orzo per l’intruglio nero, prelevava dal nido delle galline nella stalla le uova per vendere o per qualche frittata, accudiva i bambini.

 

Un tempo la donna contadina era impareggiabile in molte attività e comunque instancabile. Dei suoi dolori, delle sue angosce, dei suoi malanni non ne dava mai plateale annuncio a nessuno. Le sue sofferenze erano sopportate con dignità ammirevole. Ogni spazio del giorno era riempito dalla loro operosità, inarrestabile e continua, dall’alba a notte inoltrata.

 

L’attività dei contadini consisteva: subito dopo ferragosto venivano  arati i campi per la semina del grano, con ingegnosi aratri di legno tirati da buoi. Gli aratri erano costruiti  spesso dagli stessi contadini, d’inverno, quando per la neve o per il freddo,  erano costretti a restare in casa. Nei piccoli appezzamenti o nei siti scomodi il terreno si lavorava a “bidente” con la zappa a due denti. Per la calura e per la durezza del lavoro, il sudore sgorgava a fontanella dalla fronte dei contadini inzuppando, non solo la “pezzola” in testa ma  anche i miseri indumenti che indossavano. A tarda sera, col bidente in spalla, tornavano a casa, stanchi e rassegnati. Dopo la misera cena, governati gli animali, andavano a dormire per ricuperare forze per il giorno dopo. La giornata di lavoro cominciava all’alba e si chiudeva a sera tardi. Anche le donne aiutavano soprattutto ad ammucchiare i sassi che man mano uscivano zappando. Ancora oggi sono presenti nei campi questi mucchi di pietre. Vengono spesso fotografati a futura memoria, ma non si può certo fotografare il sudore di quelle povere donne, spesso in gravidanza, costrette alla durissima attività. Sono ancora ben visibili in diverse parti del nostro territorio le costruzioni di pietre erette per sostegno dei dirupi. Molte sono ancora integre, dopo tanto tempo, a testimonianza della perizia di quei contadini nel saper porre le pietre, una sopra l’altra,  in modo stabile.

Bandiere e stemmi della Toscana dall’avvento dei Medici in poi